Ilenia è una donna sulla trentina, con alle spalle diverse relazioni finite male. Non essendo nuova al lavoro personale ed essendo appassionata di temi di psicologia, ha una certa cultura e una certa consapevolezza rispetto al fatto che nelle relazioni si giochi una parte importante di noi, di quello che abbiamo interiorizzato rispetto a noi stessi, agli altri e al rapporto con il mondo. In breve, Ilenia conosce i concetti fondamentali della teoria dell’attaccamento e quindi non si scompone all’idea che, nei rapporti affettivi, lei si avvicini a uomini che, per qualche aspetto, corrispondono a propri bisogni più o meno consapevoli e con i quali lei rimette in gioco vecchi schemi, appresi con le sue figure affettive originarie, ovvero con i suoi genitori.
Non si spiega, tuttavia, come sia possibile che lei, sensibile, altruista, anche un po’ timida, sia cascata, ultimamente, nella rete di quello che riconosce essere un narcisista, pieno di sé, spavaldo, autocentrato e assolutamente contraddittorio nella relazione con lei. Ammette che quest’uomo ha un aspetto carismatico, affascinante, di persona sicura di sé, a cui lei non è stata insensibile. Ma conoscendolo meglio ha potuto entrare in contatto anche con tutto il resto: i cambi repentini di atteggiamento nei suoi confronti, la freddezza e il distanziamento improvvisi, apparentemente immotivati, la sottile manipolazione, la svalutazione, la colpevolizzazione e molto altro ancora. Poco per volta Ilenia ha capito con che soggetto avesse a che fare: un narcisista fatto e finito!
Pur comprendendo razionalmente le dinamiche in cui si è trovata invischiata, Ilenia non riesce a capacitarsi del coinvolgimento emotivo che, tuttora, prova nei confronti di questa persona. C’è una parte di lui, quella più fragile, bisognosa, che emerge ogni tanto, e che ogni volta la fa capitolare.
Propongo a Ilenia di riflettere su questo punto: se è vero che in ogni persona possiamo riconoscere parti di noi stessi, e proprio quelle più intollerabili dell’altro dicono di parti inaccettabili di noi, cosa le racconta di sé la parte narcisistica di quest’uomo? La invito a partire, in questa esplorazione, dal sentire. Ovvero di focalizzarsi sull’aspetto di questa persona che è più difficile da accettare per lei e notare che cosa provoca in lei, a livello corporeo.
Ilenia sceglie l’aspetto di rifiuto, di arroganza e di freddezza che ciclicamente vede in quest’uomo e che per lei è inspiegabile, inconcepibile. Si pone in ascolto. Contatta, immediatamente, una sensazione di pugno allo stomaco, che poi diviene, più distintamente, una sorta di voragine che le inghiotte i visceri. Un buco nero, angosciante, mortifero. Improvvisamente, un insight, una consapevolezza: lui e lei provano la stessa cosa, una ferita profondissima, indicibile, un vuoto smisurato, intollerabile, a cui hanno solo dato delle forme esteriori diverse, un abito apparentemente differente ma, nella sostanza, fatto dello stesso tessuto, di un analogo intreccio di trame e orditi antichi, persi nella memoria, fatti di mancanze, di paure, di bisogni viscerali mai appagati, di rabbie furibonde e di atmosfere ghiaccianti, desolanti, senza speranza…
Il viaggio di Ilenia dentro il suo sentire è così toccante che non può fare a meno di scivolare in un’angoscia e in un dolore senza parole, senza tempo, senza confini. Ma per fortuna Ilenia dei confini ce li ha: ha un corpo, che vive nel presente, che respira, che è attraversato da una vita piena e pulsante. La aiuto a riconnettersi a questo, per riemergere dall’abisso della sua pena più profonda. E piano piano Ilenia riemerge, grata di poterlo fare, di essere qui, ora, con tutto il resto della sua esperienza, con tutto il resto di sé. E si rende conto di come, accanto ad uno sguardo più compassionevole verso quello che poco prima vedeva come una sorta di persecutore, l’uomo di cui è innamorata, sia affiorata in lei anche la consapevolezza che lui, questa esperienza di “riemersione” dal buco nero, forse non l’ha mai fatta, non è in grado di farla, perché teme troppo quel luogo angoscioso dentro di sé da cui fugge, continuamente, rifugiandosi in mille maschere.
Una profonda tristezza la attraversa, ma è una tristezza benevola, figlia di una presa di coscienza sulla realtà. Una realtà che non può cambiare, ma che può scegliere se tenere nella sua vita o meno.