Dare corpo a un aspetto di sé: il gioco delle parti

Domenico (D): “Dottoressa non riesco ad ascoltare quello che sta accadendo nel mio corpo in questo momento: nella mia testa si sono affollate decine di pensieri contemporaneamente. Sono andato in confusione…”

Io: “Che genere di pensieri?”

D: “Ci sono come due voci dentro di me: una mi dice che ce la posso fare, che non succederà nulla di brutto. L’altra è come se volesse intralciare la prima: mi dice che non è vero niente, che non ce la farò mai, che sta per succedere qualcosa di brutto. Ora che ne parlo mi rendo conto che è quello che succede ogni volta, prima di un attacco d’ansia. Dentro di me ci sono due forze che lavorano in modo opposto, continuamente”.

Io: “Bene Domenico, se ti focalizzi sulla voce disturbante cosa provi nel corpo?”

D: “Un movimento nel petto, qualcosa che si agita”

Io: “Prova a dare una forma, un’immagine a questa sensazione e a collocarla fuori di te. Che aspetto avrebbe?”

D: “Un drago infuriato, mi pare di vederlo. Vuole solo ferirmi. È crudele, non gli importa niente di farmi soffrire”

Io: “Cosa vorresti dirgli?”

D: “Di lasciarmi in pace, di andare via. Non può continuare a farmi stare così male”

Io: “Ora prova a metterti nei panni del drago: che effetto ti farebbe sentire queste tue parole?”

D: “E’ difficile…penso che se mi mettessi nei panni del drago mi arrabbierei ancora di più, farei di tutto per impormi…vorrei solo farmi valere, essere rispettato…sì ecco, vorrei essere rispettato: nessuno mi considera, nessuno mi capisce!”

Io: “Cosa sente di fare il drago per te?”

D: “Il drago in fondo mi protegge. Se non ci fosse potrei fare delle sciocchezze…ne ho fatte tante nella mia vita, e le ho pagate care…”

Io: “Quindi sembra che il drago non ti voglia distruggere ma che voglia aiutarti. Se considerassi questo aspetto cosa proveresti verso il drago?”

D: “Sì, è vero…se considerassi questo mi farebbe un po’ pena, perché si agita tanto e sbraita a fin di bene ma nessuno lo vuole, nessuno lo capisce…”. Domenico scoppia a piangere. Realizza che è proprio come si sentiva lui da bambino, un bambino iperattivo e oppositivo…ma che in realtà aveva tanta paura di sbagliare e desiderava solo essere ascoltato e rassicurato.

Ora Domenico può cominciare a fare pace con quel drago e imparare ad ascoltarlo e contenerlo.

Quando dietro una difficoltà scolastica c’è un’esperienza traumatica

“Samuel, so che a volte è faticoso toccare certi argomenti, ma quello che ti succede mi incuriosisce molto e penso sia importante esplorarlo un po’. Vorrei capire insieme a te in che occasione, per la prima volta, ti è successo di associare una parte del corpo a un grosso spavento. Sono qui con te in questa esplorazione, se dovessi incominciare a provare un forte disagio dimmelo.”


Samuel, un ragazzino biondo di 12 anni, un visino da angelo impaurito, si fa pensieroso. Ogni volta che sente anche solo nominare una parte del corpo, prova una nausea fortissima, fino al vomito, che ultimamente gli rende impossibile frequentare alcune lezioni di scienze a scuola.
Alla mia richiesta sembra sorpreso: non aveva mai pensato che il suo disgusto potesse essere legato alla paura.


“Ora che mi dici questo mi viene in mente che da piccolino, avevo 3/4 anni, mi è successo un incidente: giocando al parco sono caduto e mi sono tagliato il sopracciglio. Ero con mio padre. Ricordo che mi è uscito molto sangue e lui si è spaventato tanto.
Siamo corsi in auto al pronto soccorso e lì mi hanno tenuto fermo per mettermi i punti. Io ero terrorizzato, cercavo di liberarmi, ma mi hanno bloccato. Mi sta tornando alla mente l’odore orribile del disinfettante. Mi sta venendo da rimettere.”


Chiedo a Samuel di stoppare la scena, come se fosse un film, e di “evocare” accanto a sé la sua nonna, per lui così importante, immaginando di ricevere da lei ciò che potrebbe al momento rassicurarlo di più.
Samuel è sollevato dal distogliere il suo pensiero da quella scena. Immagina la nonna al suo fianco, il suo profumo, così familiare per lui, e cambia subito colore: le sue guance tornano rosee, il suo sguardo si ammorbidisce, il corpo di distende e vedo il suo respiro farsi più ampio.
Gli propongo di rimanere accanto a nonna per tutto il tempo che gli serve.
Dopo qualche minuto Samuel riapre gli occhi, che aveva chiusi, e con aria stupefatta mi dice: “è la prima volta che pensando al sangue riesco a non rimettere.”


“Certo Samuel, in quell’episodio, da piccolino, tutto è avvenuto troppo in fretta e troppo intensamente. Il tuo organismo in quella circostanza era molto attivato. In questi casi a volte succede qualcosa di inaspettato: degli elementi si mettono assieme, si aggregano in modo imprevisto. Come quando, se mischi troppo velocemente acqua e farina, si formano dei grumi. Per non farli formare, o per scioglierli, diventa allora importante ridurre la velocità con cui mescoli gli ingredienti, fare attenzione, perché possano trasformarsi in qualcosa di digeribile.
La vista del sangue, la tua paura, l’odore disgustoso dei disinfettanti si sono mischiati nell’esperienza che hai fatto di quel momento. E non sei mai riuscito a digerire quei grumi.
Ora hai imparato che alla giusta velocità e con la giusta attenzione puoi tollerare certe immagini. Ci lavoreremo assieme.”

L’intelligenza del corpo: memorie traumatiche e presente salvifico

Emma è una donna minuta e apparentemente vulnerabile. Ha vissuto molte esperienze drammatiche, ha sofferto – anche fisicamente – in modo indicibile. Ma dalla prima volta che l’ho incontrata, in studio, capisco di avere a che fare con una guerriera, un’esploratrice delle pieghe dell’essere, una creatura intensa, vibrante, nonostante tutto mossa dall’amore per la vita.


Nel nostro primo incontro Emma comincia a raccontarmi, come un fiume in piena, le dure e innumerevoli vicissitudini che hanno caratterizzato la sua vita. Non è la prima volta che si rivolge ad un psicoterapeuta, e sembra impaziente di raccontarmi i dettagli delle sue fatiche. Mano a mano che parla, però, la vedo irrigidirsi, sgranare gli occhi sempre di più, respirare con crescente affanno.


“Emma – la interrompo – facciamo una pausa. Vorrei che adesso lei smettesse per qualche istante di parlare e si prendesse il tempo per portare l’attenzione a quello che sta accadendo dentro di lei, in questo momento”.


Emma fa un sospiro, porta una mano alla fronte, a sorreggersi il capo, e accasciandosi nella poltrona, con un filo di voce, risponde: “Il mio cuore…non mi dà tregua…batte all’impazzata, mi fa male, e sento come se stessi per morire”.


“So che le chiedo qualcosa di insolito, ma se dovesse descrivermi questa sensazione al cuore, che forma, che colore, che dimensione avrebbe?”
Emma: “è come una palla di metallo con delle punte, pesante e scura, grande come il cuore”.


“Se dovesse immaginare una sensazione opposta a questa, quale sarebbe?”


Emma: “di calore, di leggerezza e morbidezza. Un po’ come la sensazione che ricordo mi prendeva al mare, quando ancora riuscivo ad andarci, e mi stendevo sulla sabbia tiepida.”


“Ecco, Emma, vorrei che adesso lei andasse, con la sua immaginazione, proprio là, in quella spiaggia. Vorrei che si stendesse su quella sabbia, calda al punto giusto, e che potesse sentire il suo corpo, la sua pelle, sprofondarvi un po’ dentro, godere di quel tepore. Non deve fare più nulla, solo ascoltare il suono del mare, ritmico, come quello del suo respiro, sentire la brezza. E godersi questa esperienza, andare un po’ là in vacanza …senza fretta…”


Emma sembra riprendere colore e si adagia con morbidezza sulla sua seduta, chiudendo gli occhi.
Dopo qualche istante un cenno di sorriso le compare sul volto.
Le domando se le riesca di immaginarsi là, e quando lei annuisce le chiedo di fare attenzione a che cosa sia cambiato, ora, nel suo corpo.
Emma apre lentamente gli occhi e mi guarda: “per la prima volta da mesi non sento quel dolore al cuore, mi sembra impossibile…”. Si commuove e ci guardiamo a lungo, in un intenso contatto visivo silenzioso, ma eloquente.
Dopo qualche istante, commento: “Il suo corpo sa come darsi tregua, e come regolarsi, nel qui e ora. Partiremo da questo, per esplorare in un secondo momento anche i ricordi più dolorosi. Ma se non impariamo a usare il freno o a cambiare marcia non possiamo guidare pensando di premere sempre e soltanto sull’acceleratore”.
È cominciata così la nostra avventura insieme, il nostro lavoro con Somatic Experiencing, per aiutare Emma a superare i traumi del passato.