Emma è una donna minuta e apparentemente vulnerabile. Ha vissuto molte esperienze drammatiche, ha sofferto – anche fisicamente – in modo indicibile. Ma dalla prima volta che l’ho incontrata, in studio, capisco di avere a che fare con una guerriera, un’esploratrice delle pieghe dell’essere, una creatura intensa, vibrante, nonostante tutto mossa dall’amore per la vita.
Nel nostro primo incontro Emma comincia a raccontarmi, come un fiume in piena, le dure e innumerevoli vicissitudini che hanno caratterizzato la sua vita. Non è la prima volta che si rivolge ad un psicoterapeuta, e sembra impaziente di raccontarmi i dettagli delle sue fatiche. Mano a mano che parla, però, la vedo irrigidirsi, sgranare gli occhi sempre di più, respirare con crescente affanno.
“Emma – la interrompo – facciamo una pausa. Vorrei che adesso lei smettesse per qualche istante di parlare e si prendesse il tempo per portare l’attenzione a quello che sta accadendo dentro di lei, in questo momento”.
Emma fa un sospiro, porta una mano alla fronte, a sorreggersi il capo, e accasciandosi nella poltrona, con un filo di voce, risponde: “Il mio cuore…non mi dà tregua…batte all’impazzata, mi fa male, e sento come se stessi per morire”.
“So che le chiedo qualcosa di insolito, ma se dovesse descrivermi questa sensazione al cuore, che forma, che colore, che dimensione avrebbe?”
Emma: “è come una palla di metallo con delle punte, pesante e scura, grande come il cuore”.
“Se dovesse immaginare una sensazione opposta a questa, quale sarebbe?”
Emma: “di calore, di leggerezza e morbidezza. Un po’ come la sensazione che ricordo mi prendeva al mare, quando ancora riuscivo ad andarci, e mi stendevo sulla sabbia tiepida.”
“Ecco, Emma, vorrei che adesso lei andasse, con la sua immaginazione, proprio là, in quella spiaggia. Vorrei che si stendesse su quella sabbia, calda al punto giusto, e che potesse sentire il suo corpo, la sua pelle, sprofondarvi un po’ dentro, godere di quel tepore. Non deve fare più nulla, solo ascoltare il suono del mare, ritmico, come quello del suo respiro, sentire la brezza. E godersi questa esperienza, andare un po’ là in vacanza …senza fretta…”
Emma sembra riprendere colore e si adagia con morbidezza sulla sua seduta, chiudendo gli occhi.
Dopo qualche istante un cenno di sorriso le compare sul volto.
Le domando se le riesca di immaginarsi là, e quando lei annuisce le chiedo di fare attenzione a che cosa sia cambiato, ora, nel suo corpo.
Emma apre lentamente gli occhi e mi guarda: “per la prima volta da mesi non sento quel dolore al cuore, mi sembra impossibile…”. Si commuove e ci guardiamo a lungo, in un intenso contatto visivo silenzioso, ma eloquente.
Dopo qualche istante, commento: “Il suo corpo sa come darsi tregua, e come regolarsi, nel qui e ora. Partiremo da questo, per esplorare in un secondo momento anche i ricordi più dolorosi. Ma se non impariamo a usare il freno o a cambiare marcia non possiamo guidare pensando di premere sempre e soltanto sull’acceleratore”.
È cominciata così la nostra avventura insieme, il nostro lavoro con Somatic Experiencing, per aiutare Emma a superare i traumi del passato.