Giulia è una ragazza di 22 anni.
Nata in una famiglia molto instabile, ha sempre avuto la sensazione di “non appartenere a nessuno”. I legami familiari non sono mai stati fonte di sicurezza per lei. Non avere avuto un “contenitore” solido a cui fare riferimento – ne è consapevole – le ha fatto fare esperienze anche impulsive e incaute. Perché – in un contesto caotico – non ha mai imparato ad ascoltarsi e a conoscere veramente se stessa. Ha quindi spesso agito sull’onda del momento, trascinata da eventi da cui si sentiva travolta.
Solo oggi, che prova un malessere generale, un senso di tristezza senza una precisa ragione, ripensa con una diversa consapevolezza a tutti gli episodi che le sono accaduti.
Uno di questi risale a qualche anno prima, quando le accadde di scoprirsi incinta. Per lei fu un momento molto drammatico. Non tanto per il timore della reazione dei suoi genitori (a cui non lo ha mai detto). Ma perché sapeva che avrebbe voluto significare abortire. Non era certo pronta e nelle condizioni di prendersi cura di un bambino. Sentiva – almeno allora – che quella era la sola strada da percorrere. In qualche angolo del suo cuore, però, si nascondeva un dispiacere inascoltato. Almeno finora.
Per la prima volta nella sua vita Giulia tornava a pensare, e a parlare, di quell’episodio.
Ultimamente, a dire il vero, era diventato un chiodo fisso: l’accaduto la perseguitava, non la faceva sentire a posto con la coscienza.
Abbiamo lavorato molto su quanto avvenuto. Esplorando i suoi pensieri e dando spazio alle emozioni. Giulia, se non altro, ora era in grado di riaccedere a quel ricordo senza disperarsi. Ma qualche tassello dentro di lei ancora non era al suo posto.
È stato a quel punto che le ho parlato di come, talvolta, gli eventi tocchino tematiche universali, primordiali, archetipiche. In questi casi, in cui si condensano emozioni, significati profondi, che ci connettono con il mistero della Vita, è a quel livello – oserei dire sacro – che dobbiamo entrare: in quel campo, dove la morale non è contemplata. Un campo di emozioni sublimi e tremende, di spiriti, di immagini epiche, di forze sovrastanti, di spaventosa bellezza e di innocente grandiosità. Quando qualcosa, a questo livello, è perturbato, può capitare che non basti fare pace con i nostri ricordi e le nostre emozioni. A volte dobbiamo “restituire” qualcosa che nutra e plachi quel campo enigmatico e potente, dove sembra che gli equilibri si siano turbati. In che modo? Parlando il linguaggio, simbolico ed evocativo, di quella terra misteriosa, che qualcuno chiamerebbe inconscio. Ecco allora che il rituale, il rito, rappresenta un ponte tra la dimensione cosciente e quella onirica, simbolica, trascendente.
Giulia lì per lì mi ha guardato un po’ perplessa. Il primo contatto con queste tematiche lascia sedotti o, più spesso, attoniti, smarriti.
Qualche settimana più tardi, però, Giulia mi ha riportato questo fatto: poco prima dell’aborto, caso vuole, le avevano regalato un uccellino. Le era sempre piaciuto molto, ma provava anche una gran pena per quella creaturina destinata a passare la vita in gabbia. Tuttavia non aveva mai avuto il coraggio di liberarlo. Fino a qualche giorno prima. Giulia ha raccontato di aver sentito una spinta fortissima ad avvicinarsi alla gabbia. Guardando il suo uccellino improvvisamente le è stato chiaro cosa fare: ha aperto la gabbia, ha preso delicatamente l’animaletto tra le sue mani. Lo ha ringraziato, gli ha chiesto perdono e gli ha detto che lo amava. In quel momento, mi confessa Giulia: “era come se stessi parlando alla creatura che non ho fatto nascere.”. Infine, ha liberato tra le lacrime l’uccellino. Quel gesto, denso di significato simbolico, ha rimesso “ogni tassello a posto”. Ora Giulia mi racconta di questo episodio con una voce e uno sguardo sereni. Ora, mi confessa, ha capito cosa volevo dire, con quello strano discorso…
Le porte della dimensione più intima e sacra si sono dischiuse e le hanno permesso di ristabilire un equilibrio, come – parole sue – “se rispondessi a una legge naturale”.