Separarsi e continuare a essere genitori

Una separazione coniugale rappresenta sempre, almeno all’inizio, una tappa critica per tutti i familiari coinvolti. E ciò vale anche per chi ha preso una decisione tanto importante, magari senza il consenso dell’altro. Spesso, tra i partner delle coppie che si dividono, ci sono vissuti di rancore, di colpa, di delusione e di tristezza. Tutte emozioni che possono condizionare il processo di separazione e impattare sul benessere dei membri del nucleo familiare.

Non esiste, di fatto, un modo univoco di separarsi, e le domande che spesso emergono nel lavoro con familiari che vivono questo processo sono quesiti del tipo: come si può continuare a essere bravi genitori pur non essendo più coppia? Come gestire il rapporto con l’altro genitore? Quali sono i comportamenti da evitare? Ciò che inevitabilmente rimane in comune, nella coppia, è infatti la genitorialità. Si può smettere di essere marito e moglie o compagni di vita ma, necessariamente, non si può smettere di essere padri o madri.

Il timore dei genitori è sempre quello di provocare sofferenze irreparabili nei figli, di non riuscire a gestire in modo adeguato le diversità di approccio educativo, le assenze, le mancanze, i cambiamenti di vita che questo evento di vita implica.

I dati dei numerosi studi ormai accumulatisi sull’argomento indicano chiaramente che, sebbene la separazione comporti dei disagi pratici ed emotivi per tutti i membri della famiglia, solitamente le principali problematiche vengono superate nel giro di un anno e mezzo o due anni. Ciò vuol dire che di norma entro due anni dalla separazione si riesce a trovare un nuovo equilibrio, sia negli adulti che nei bambini. Solo una ridotta percentuale di figli con genitori separati manifesta problemi durevoli. Ma ciò che di più significativo arriva dalle ricerche sull’argomento è che, nei casi in cui si sono riscontrate difficoltà persistenti, si è osservata una problematica irrisolta a carico della coppia genitoriale. I genitori, in altri termini, si sono separati “male”, ed è questo che ha inciso sul malessere dei figli.

Cosa significa separarsi male? Vuol dire affrontare questo evento con alti livelli di conflittualità, espressa o anche repressa, ma comunque percepita.

La conflittualità, di fatto, rappresenta il vero fattore discriminante per l’equilibrio emotivo e psicologico dei figli. E ciò – come dimostrato dai più recenti studi – indipendentemente dal fatto che i genitori siano separati o uniti.

L’elemento che fa la differenza, quindi, per il benessere dei figli, è l’alta conflittualità espressa dalla coppia coniugale e circolata in famiglia. Sia che la famiglia sia unita sia che sia “separata”.

Il disaccordo tra i genitori diventa la principale causa di sofferenza dei bambini. E la capacità di questi ultimi di adattarsi alla separazione dei genitori dipenderà quindi dal grado di maturazione di mamma e papà e dalla loro capacità di collaborare.

Il conflitto tra i genitori è dunque il fattore fondamentale che danneggia lo sviluppo dei figli e genera in loro problemi di emotivi e di comportamento. In molti casi, tale conflitto può precedere di anni la separazione. Ecco allora che, per le coppie che si sentono in fatica rispetto alla possibilità di affrontare la loro separazione con modalità il più possibile distese e collaborative, è di fondamentale importanza ricorrere a un aiuto esterno, a un supporto specialistico che li possa accompagnare nella gestione delle situazioni conflittuali e nell’elaborazione dei rispettivi vissuti emotivi, affinché questi ultimi non coinvolgano i figli e non si riversino su di loro.